194: autorizzazione per uccidere. Analisi sul tema dell’aborto
- M.Buonaiuto
- 18 mag 2015
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Per aborto intendiamo l’interruzione prematura di gravidanza, naturale (spontanea) o volontaria. Fino al 1978 causare l’aborto, procurarselo o istigare a tale pratica era punito con la reclusione da uno a dodici anni secondo i casi e le modalità sancite dall’art. 545 del codice penale.
In un clima di aborti clandestini e di “viaggi della speranza” verso cliniche estere, il 5 febbraio 1978 fu presentata alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum per l’abrogazione di 10 articoli del codice penale riguardanti i casi già citati. Utilizzando una espressione biblica potremmo dire “e fu sera, e fu mattina”. La legge 22 maggio 1978 n. 194 consente la pratica dell’aborto, dove aborto sta per ab orior: morte. Dal 1978 al 2009 la Repubblica Italiana ha permesso 5.110.241 omicidi di cosiddetti “bambini non nati”, numero quasi uguale a quello delle vittime dell’Olocausto. Con l’unica differenza, però, che questi ultimi hanno diritto ad essere ricordati, mentre chi non nasce non ha intrinseco tale diritto. Appare dovuto evidenziare come coloro che hanno voluto il referendum praticavano aborti clandestini senza alcuna assistenza sanitaria in nome del Partito Radicale o dei diritti femministi, ricordiamo alcuni nomi come quello di Emma Bonino o di Adele Faccio, presidentessa del Centro di informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto, la quale asserì che non “bisogna difendere il diritto alla vita di migliaia di esseri deformi, inadatti, incompleti, che riempiono quel museo degli orrori che è il Cottolengo”. Entrambe denunciate all’autorità di polizia, la seconda arrestata assieme a Gianfranco Spadaccia, segretario del suddetto partito.
La questione della “nascita” ci propone due blocchi paralleli contrapposti, quello degli idealisti e partigiani, da un lato, e quello della scienza e della religione, dall’altro. Sembra quasi di essere negli anni 70, quando ad avallare le tesi dei due poli opposti furono due Premi Nobel: Jacques Monod e Francois Jacob. Il primo sosteneva la sopprimibilità del feto in quanto non ancora “persona”, il secondo rigettava questa tesi non per negare il diritto all’aborto ma per realizzarlo in base ad altre ragioni: “la vita è una continuità, dall’individuo alla cellula seminale al nuovo individuo, e non vi si possono distinguere fasi privilegiate”. In questa frase possiamo vedere conciliate l’opinione scientifica e quella cattolica in quanto, la vita, non avendo un “inizio biologico” (al di la delle questioni morali o teologiche) che non sia la fecondazione dell’ovulo, come è possibile stabilire un limite giuridico entro il quale il feto non costituisce persona umana e può quindi essere soppresso?
Se quindi il problema è stabilire quando si può parlare di essere umano, mentre il giurista definisce tale un essere vivente che si distingue dagli altri per la propria capacità di autogoverno e di autodecisione, per il genetista ed il biologo già lo zigote è essere umano, quindi la domanda quale sia il momento a partire dal quale si possa parlare d’uomo non è importante poiché si tratta di un divenire uomo e il destino genetico della vita in formazione è già stabilito definitivamente dal concepimento, ne segue che, come inizio della vita, va inteso il momento della fecondazione. Lo spermatozoo che feconda l’ovulo non è una cellula inerte ma vivente, come l’ovulo. La fusione dei due da inizio a una nuova cellula, lo zigote, umana e vivente. La fecondazione rappresenta il primo momento dell’uomo, il “tempo zero”; perché l’ovulo fecondato è essere umano, anche se dell’uomo non ha ancora gli attributi somatici, che andranno realizzandosi in un processo evolutivo estremamente graduale.
Risulta opportuno inoltre trattare circa l’aborto selettivo, ovvero l’interruzione della gravidanza nei casi in cui si ha quasi la certezza che il prodotto del concepimento sia un essere deforme o un grave minorato. Attraverso il corredo cromosomico infatti si possono rilevare eventuali anomalie dei cromosomi del feto, come per esempio la presenza di un cromosoma supplementare o la dislocazione D/G nell’idiozia mongoloide e le malattie legate al cromosoma X. Con l’esame del corredo enzimatico si può invece stabilire se il feto presenta anomalie dovute a mutazioni dei singoli geni. Per chi vive in proprio questo genere di situazioni, pur considerando che nella maggioranza dei casi è la natura stessa a provvedere mediante interruzioni spontanee di gravidanza, portare avanti la gravidanza risulta complicato sotto molti punti di vista, ma è proprio in questi casi che si denota il fatto che la vita, anche così mutilata, va rispettata. In caso contrario invece entriamo nel campo dell’eugenetica, ovvero l’interruzione volontaria di gravidanza perché il feto risulta “anormale”. Riteniamo rispondere esaustivamente e concisamente a questo tema semplicemente sottolineando che l’eugenetica era prerogativa del regime nazista, assimilato a pieno nel programma Aktion T4.
Per avallare le nostre tesi, ovvero per evidenziare come si possa fare a meno dell’aborto, riportiamo due testimonianze; la prima è quella di Chiara Corbella. Sin dalle prime ecografie della prima gravidanza di questa ragazza emerse che il feto era affetto da una malattia congenita grave che vede il nascituro privo totalmente o parzialmente dell’encefalo. Senza tentennamenti Chiara decide di portare avanti la gravidanza. Il piccolo angelo dopo circa trenta minuti dal parto, nasce in cielo. Qualche mese dopo si ripresenta lo stato interessante, ma anche in questo caso le ecografie non danno buone notizie: il bimbo è privo di gambe. Anche stavolta Chiara porta avanti la gravidanza e, quasi come se il destino si fosse accanito contro di lei, poco dopo la nascita il bambino è deceduto. Dove c’è Dio l’espressione “tertium non datur” non esiste, e anche per Chiara si presenta una nuova gravidanza. Stavolta le ecografie confermano la salute del bimbo che cresce forte e sano, ma al quinto mese a Chiara viene diagnosticato un carcinoma. Nonostante la sua vita fosse minacciata da questo e dal fatto che per non abortire ha dovuto rinunciare alle cure, Chiara si fa forza e porta avanti la gravidanza. Dopo il parto si sottopone ad un nuovo intervento chirurgico e ai successivi cicli di chemio e radioterapia, ma Chiara non ce la fa. Il 13 Giugno del 2012 a mezzogiorno Chiara raggiunge in cielo i suoi due angeli, lasciando a noi Francesco, come testimonianza del suo amore e della sua incommensurabile fede.
Un altro caso degno di nota è quello del piccolo Walter, un aborto spontaneo a 19 settimane, un mucchio di cellule, tessuto, solo un feto. Quante le espressioni comuni usate dagli abortisti. Eppure a sole 19 settimane, nell’estate del 2013 Walter Josua Fretz è nato ed ha vissuto pochi momenti, ma la sua vita ha avuto un impatto duraturo. La madre di Walter, Lexi, infatti, dopo essersi recata in ospedale a causa di insoliti sanguinamenti, mentre era in attesa presso il reparto di emergenza dell’ospedale ha sentito battere il cuore del suo bambino. “Era perfetto. Completamente formato e tutto al suo posto; riuscivo a vedere il cuore battere nel suo piccolo petto”, ha riferito la madre alla stampa.
I mezzi per la “guarigione”, quindi, sono l’impegno in una educazione religiosa e morale che sappia condurre a superare la concezione per cui l’aborto si offre come ultima posizione tra i metodi anticoncezionali o come prima soluzione in un discorso eugenetico, e la promozione della vita in ogni suo aspetto e forma.
Augurandoci che tutti comprendano che il carattere fondamentale della maternità (e della scienza) è la cura della vita, concludiamo con un passo della Didaché: “Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato”.
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